Giacomo Berlato, album di figurine
Il diario del Giro d’Italia: Giacomo Berlato (ottava tappa)
Cento anni fa i bersaglieri-ciclisti. Oggi i corridori-postini. Che per “Libri in Giro” e la Biblioteca della bicicletta Lucos Cozza scrivono una pagina del diario della corsa
Campitello Matese (Campobasso), domenica 17 maggio 2015
Giacomo Berlato (Nippo-Vini Fantini)
Pronti-via, sparpaglio. Tutti che cercano di andare in fuga. Anch’io. Finché quando nasce la fuga buona, ho le gambe dure e pesanti, e poi nessuno mi ha detto che quella è la fuga buona, altrimenti avrei cercato di entrarci anche con le gambe in croce. E così, da quel momento in poi, mi dedico al mio capitano, Damiano Cunego, e ad accompagnarlo incolume ai piedi dell’ultima salita. A quel punto tiro il fiato e risparmio le forze. Domenica 31 maggio voglio arrivare a Milano, in bici, e mancano ancora due settimane.
Mi presento: Giacomo Berlato, da Malo, provincia di Vicenza, e il mio soprannome è “Boldi”, come Massimo Boldi, l’attore, un soprannome che porto con orgoglio. Mio papà è Pietro, metalmeccanico ora pensionato, appassionato di ciclismo, solo che lui andava in giro e non al Giro. Mia mamma è Giovanna, casalinga e – appunto – mamma, sempre presente alle corse, ma a piedi. Mio fratello è Pietro, corridore fino alla categoria juniores. Mia sorella è Elena, professionista nell’Alé-Cipollini. E io.
La prima bici a due anni, nel quartiere dicono che sono un fenomeno, perché non solo vado senza rotelle, ma anche a una ruota sola, impennando. “Quello è spericolato”, sostengono, e questo non facilita la mia libertà a due ruote. Prima corsa a Nove, provincia di Vicenza, e prima vittoria, così nel quartiere dicono che sono proprio un fenomeno. Studi così così, elettricista, ma abbandono. Invece proseguo con la bici. E’ la mia passione, è diventata il mio lavoro. Più felice di così. Infatti, ogni mattina, quando mi alzo, ringrazio Dio. Gli altri si svegliano e vanno a lavorare, io mi sveglio e vado a pedalare, che è molto meglio di lavorare.
Il primo Giro che mi ricordo è quello del 1998: tredicesima tappa, la Carpi-Schio, di 166 chilometri, primo Michele Bartoli, maglia rosa a Andrea Noè, e Marco Pantani che cade due volte in discesa. Avevo sei anni. Adesso che ne ho ventitré e partecipo per la prima volta al Giro, ogni tanto mi devo convincere che non sto sognando ma vedendo, respirando, abitando, insomma vivendo. E’ un’emozione, un’impressione, una sensazione.
Sono un attaccante: non ho paura a stare all’aria, prendere il vento, tirare tutto il giorno. La voglia di scappare è più forte della delusione di farsi raggiungere. Scappare è testa bassa e menare. Scalare è testa bassa e lottare. Vincere, credo, sarà testa bassa e godere, o forse testa alta e godere, comunque godere. Ci proverò finché non ci riuscirò. In questo Giro ci sono tre tappe intorno a casa mia: quella che arriva a Vicenza, quella che parte da Montecchio Maggiore e quella che parte da Marostica. Là ci saranno tutti i miei famigliari e tifosi.
Dimenticavo: sono alto un metro e settanta e peso cinquantanove chili. Quasi gemello del mio capitano Cunego. Se poi riuscissi a vincere, non dico tanto, ma metà, anche un terzo, ma che dico, un quarto di Cunego, sarei veramente quel fenomeno che a Malo insistono, per troppo amore, a considerarmi.
Fiuggi (Frosinone)-Campitello Matese (Campobasso) di 186 km
Arrivo: 1) Benat Intxausti (Movistar) in 4.51’34”, 2) Mikel Landa (Astana) a 20”, 3) Sebastien Reichenbach (Iam) a 31”.
Classifica: 1) Alberto Contador (Tinkoff-Saxo), 2) Fabio Aru (Astana) a 4”, 3) Richie Porte (Sky) a 22”.