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Biblioteca della Bicicletta Lucos Cozza
Marco Pastonesi
LIBRI nel GIRO. BICI chiama PACE. Le storie: Alfonsina Strada Era il 2 novembre, in piena Grande Guerra e appena dopo Caporetto. Una corsa incoraggiata per risollevare il morale a terra della nazione. Con il dorsale 74 corse anche una donna, Alfonsina Strada. Sette anni dopo sfidò gli uomini anche al Giro d'Italia Alfonsina Strada Dorsale 74: Alfonsina Strada. Il Giro di Lombardia del 1917 si disputò il 2 novembre, nove giorni dopo la disfatta di Caporetto. La corsa venne autorizzata, anzi, incoraggiata, per sollevare umori e spiriti e, come titolava "La Gazzetta dello Sport", "a dimostrazione della calma e della serenità del Paese". Settantasei iscritti fra cui, dorsale 74, Alfonsina Strada, 26 anni, da Riolo di Castelfranco Emilia, dilettante di seconda categoria. Partirono in 54, i migliori italiani, da Girardengo a Belloni, e i migliori stranieri, dal francese Pélissier al belga Thys. Che vinse. "La signora Strada", come riferivano le cronache, giunse al traguardo un'ora e mezza dopo Thys, verso le cinque del pomeriggio, quando la luce cominciava a scarseggiare: ultima. Ultima ma prima. Prima e unica. La prima e unica donna che abbia mai corso con gli uomini e contro gli uomini. E sette anni dopo Alfonsina Strada - "il Diavolo in gonnella" - sarebbe diventata anche la prima e unica donna a correre il Giro d'Italia riservato, prima e dopo di lei, soltanto agli uomini.
by Marco Pastonesi
LIBRI nel GIRO. BiCI chiama Pace. Le storie: Giovannino Corrieri Giovannino Corrieri era un corridore siciliano, emigrato in Toscana per ciclismo. Dopo la Seconda guerra mondiale restò a Prato e passò professionista con la Viscontea. “Più che una squadra di professionisti, quella era una banda di corsari – mi raccontava Corrieri, 96 anni, oggi non più sempre lucido -. Si correva per campare, la regola era prendere tutto quello che fosse a portata di mano, vincere tutto quello che fosse umanamente possibile. La mia specialità erano i traguardi a premio. Di tutto: damigiane e bottiglie di vino, salami, formaggi, perfino dei maialini, vivi, rotoli di cuoio, statue di marmo. L’importante era tornare a casa a mani piene, riempire la credenza, stivare la cantina, accatastare nel solaio in attesa dei tempi più duri. Il ricordo della guerra, e della fame, era fresco e forte. Ci era rimasta questa fame addosso, e questa mentalità da carestia, da siccità, o forse semplicemente da letargo. Nel Giro d’Italia del 1946 e in quello del 1947 non si pensava ad altro che partire a testa bassa, sprintare ogni volta che si vedeva uno striscione, fosse anche quello elettorale, com’è successo tante volte. A ogni Giro conquistavo una ventina di traguardi a premio, e non dico bugie”. Giovannino Corrieri sarebbe diventato il gregario di Gino Bartali. Anzi, di più: il suo angelo custode.
by Marco Pastonesi
LIBRI nel GIRO. BCI chiama Pace. Le storie: Coenelis Blekemolen. Il 31 luglio 1914 s’inaugurarono i Mondiali di ciclismo su pista, a Copenaghen, in Danimarca. Ma più che aria di sport, tirava vento di guerra. Tre giorni prima l’Austria aveva dichiarato guerra alla Serbia, il giorno prima la Russia aveva annunciato la mobilitazione generale, e quello stesso giorno la Germania aveva inviato l’ultimatum alla Russia. Eppure la speranza per una risoluzione pacifica viveva ancora. La prima gara dei Mondiali di ciclismo era quella del mezzofondo dilettanti: fu vinta da un olandese, Cornelis Blekemolen. La seconda gara in programma era quella della velocità: ma non ci fu neppure il tempo per disputarla. Lo “starter” stava per dare il via alla prima batteria della competizione, quando venne fermato dallo “speaker”, che con il megafono annunciò la dichiarazione di guerra della Germania alla Francia. La fine dell’inizio (dei Mondiali) e l’inizio della fine (del mondo). La manifestazione fu sospesa, le altre gare cancellate. I corridori, da guerieri in pista, diventarono soldati in trincea. Blekemolen, “Cor” ma anche “Blekie”, era nato ad Amsterdam il 7 febbraio 1894. Figlio di un macellaio, si era innamorato delle due ruote lavorando in un negozio di biciclette come fattorino e fu introdotto nel mondo ciclismo grazie a conoscenze con corridori dell’epoca. Fece la sua gavetta: le prime corse a 15 anni, il primo piazzamento a 18, terzo nel campionato olandese su strada, la prima medaglia a 19, bronzo ai Mondiali di Lipsia nel mezzofondo, preludio dell’oro l’anno dopo a Copenaghen. Blekemolen tornò a correre dopo la Grande Guerra: divenne popolarissimo, lo chiamavano – succedeva sempre così, quando uno dei Paesi Bassi finiva in alto - “l’Olandese Volante”, ma lui era speciale, parlava sei lingue e fumava sigari. Sposò una cantante di operetta, frequentava sale teatrali e set cinematografici, e durante la Seconda guerra mondiale organizzava riunioni di ciclismo in teatri, dove i corridori si affrontavano in biciclette sui rulli. Continuò a dividersi fra ciclismo e spettacolo: allenatore in pista e manager a Utrecht, ma anche direttore del Churchill Theatre di Hilversum. Blekemolen morì il 28 novembre 1972, a Hilversum. Fu il suo ultimo volo.
Giro d'Italia 2010
by Marco Pastonesi
LIbri nel Giro. Bici chiama Pace. Le storie: Eugène Christophe. Accadde nel 1913, l’ultimo prima della Grande Guerra. Eugène Christophe aveva 28 anni, era parigino di periferia, portava baffi imponenti ed era soprannominato “Le Vieux Gaulois”, il vecchio gallo, nel senso del popolo. Di quel Tour era il favorito numero 1. La sesta tappa era quella regina: si correva da Bayonne a Luchon, si scalavano Aubisque, Gourette, Soulor, Tourmalet, Aspin e Peyresourde. Su strade disastrate. Christophe era al comando della corsa quando a metà discesa, come avrebbe poi raccontato lui stesso, “a una decina di chilometri da Sainte-Marie-de-Campan, all’improvviso sentii che qualcosa non funzionava con il manubrio. Tirai i freni e mi fermai. Vidi che la forcella era rotta. Adesso posso dire che la mia forcella era rotta, ma in quel momento non avrei potuto dirlo perché era una cattiva pubblicità per la casa per cui correvo. Così stavo là, solo sulla strada. Quando dico strada, dovrei dire sentiero. Pensai che forse uno dei quei sentieri ripidi mi avrebbero portato direttamente a Saint-Marie-de-Campan. Ma piangevo così forte che non riuscivo a vedere niente. Con la bici in spalla, mi feci tutti quei 10 chilometri. Arrivato al villaggio, incontrai una giovane donna che mi condusse dal fabbro, dall’altra parte del villaggio. Si chiamava Monsieur Lecomte. Era gentile e mi voleva aiutare, ma non era autorizzato a farlo. Le regole erano rigorose. Dovevo fare tutte le riparazioni da solo. Non ho mai passato ore più complicate in vita mia di quelle, crudeli, nell’officina di Monsieur Lecomte”. S’impietosì perfino un bambino. Mentre Christophe era impegnato con martello e forcella, il bambino gonfiava le gomme. Risultato: un giudice appioppò a Christophe 10 minuti di ritardo in classifica, poi ridotti a tre. Ininfluenti. Perché l’operazione meccanica richiese più o meno quattro ore, e Christophe giunse a Luchon alle 20.44, 29°, comunque prima di altri 15 corridori. E fu infine settimo a Parigi.
Giro d'Italia 2016
by Marco Pastonesi
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