L’intervista impossibile di Margherita Hack al 21enne veneto

di MARCO PASTONESI

Giro d’Italia Under 23: 10 giorni (dal 7 al 15 giugno), 11 frazioni (un cronoprologo, otto tappe e due semitappe, di cui una ancora a cronometro), 1210,5 km da Forlì a Ca’ del Poggio (Treviso), 176 corridori di 30 squadre, il meglio del ciclismo giovanile internazionale. Stavolta “Libri nel Giro” (il progetto dell’associazione Ti con Zero, per la Biblioteca della bicicletta Lucos Cozza e le Biblioteche di Roma) propone una serie di interviste cicloletterarie.

Margherita Hack intervista Alberto Dainese. Dorsale 42, ventuno anni, veneto di Abano Terme, della Zalf Euromobil Desiree Fior.

“Una bicicletta tutta mia, pesante, senza marce, ma subito ridipinta tutta d’argento per farla sembrare da corsa” (“La mia vita in bicicletta”, Ediciclo, 2011).
“La mia prima bici da corsa è stata una Fondriest. Avevo 14 anni, categoria allievi primo anno, correvo per la Padovani, maglia bianca e verde. La prima corsa non me la ricordo. La prima vittoria neanche. Ma l’ultima sì, forse perché è stata la più bella: lo scorso aprile, nel Città di San Vendemiano. E un’altra bella vittoria da junior, al Giro di Basilicata, in maglia azzurra”.
“Si va abbastanza forte per assaporare l’ebbrezza della velocità e coprire distanze più lunghe di quelle che si fanno a piedi. E si va abbastanza piano per poter gustare il paesaggio e immergersi nella natura e nei suoi odori, cose impossibili in automobile” (“La mia vita in bicicletta”, Ediciclo, 2011).
“La bici è fatica, il ciclismo è lo sport più duro e anche quello che mi affascina di più, è quello che ha la maggiore durata e, a tratti, la più alta intensità. Bici e ciclismo sono per il 50 per cento passione e per l’altro 50 lavoro”.
“La domanda di rito, che rivolgevo a ogni nuova persona che incontravo, sia che fosse un ragazzino come me o un amico dei miei era: sei per Binda o per Guerra? Io ero per Binda” (“La mia vita in bicicletta”, Ediciclo, 2011).
“Io sono per Valentino Rossi, anche se va in moto e non in bici. In moto vado anch’io, anzi, andavo, noi rischiamo in bici, non possiamo rischiare di farci male anche in moto. E poi tengo alla Juve nel calcio, tengo a Lebron James e Mike Westbrook nel basket…”.
“Forse è vero che quando si è giovani non si pensa ai possibili pericoli, si gusta solo l’ebbrezza della velocità, del vento in faccia che porta il profumo delle piante” (“La mia vita in bicicletta”, Ediciclo, 2011).
“La volata è adrenalina, la salita è tenacia, resistenza, stimolo a tenere duro, la discesa è brivido, la pianura è velocità. Sono un velocista puro. Ma cerco, voglio, imparo a difendermi anche su strade meno piatte e diritte. L’altro giorno, nella tappa di Sestola, con l’arrivo in salita, sono arrivato tredicesimo, poco lontano dai primi, ed ero quasi contento come se avessi vinto”.
“Sul piazzale, cercando di girare, finii sul ghiaino e poi per terra; ero terrorizzata all’idea di aver rotto la bici, ma per fortuna si era solo storto un po’ il manubrio”.
“Nella tappa di Pergine mi sono steso dopo una decina di chilometri. Ginocchio, gomito… Peccato, era una tappa adatta a me. E la bicicletta, io saprei anche aggiustarmela da solo”.
“Le tappe del Giro d’Italia erano spaventosamente lunghe, duecento e più chilometri, su strade sterrate e polverose, dove frequenti erano le forature” (“La mia vita in bicicletta”, Ediciclo, 2011).
“Nella tappa di Dimaro, mai avrei pensato di farmi staccare in discesa. E’ successo quando sono andato dietro, dall’ammiraglia, per restituire la mantellina: il gruppo ha allungato, si è creato un buco, sono rimasto indietro. Abbiamo lottato per chilometri, siamo riusciti ad arrivare fino a una cinquantina di metri, ma poi siamo stati ricacciati. Qui bisogna fare attenzione a tutti i movimenti, anche quelli che sembrano più innocui”.
“Quell’estate del 1938, cominciai a fare lunghe gite in bicicletta, qualche volta alle Cascine con compagni e compagne, ma più spesso da sola” (“La mia vita in bicicletta”, Ediciclo, 2011).
“Ci si può sentire solo quando ci si allena, ci si può sentire soli anche in gruppo quando si fa tanta fatica e ti chiedi chi te lo abbia fatto fare. In corsa si parla, si pensa, si spera, e quando ci si concentra, non resta più altro che strada, gara, lotta, sfida. L’importante non è partecipare, ma vincere”.
“Devo concludere che non avrò una quarta giovinezza e dovrò decidermi ad attaccare la bicicletta al chiodo” (“La mia vita in bicicletta”, Ediciclo, 2011).
“Mio padre è ingegnere civile, mia madre insegnante di lettere in un liceo, io mi sono diplomato in un istituto tecnico. Il ciclismo, da professionista, è quello che voglio fare. Ma se dovesse andarmi male, allora mi iscriverei all’università: Ingegneria, però meccanica”.
“Andavo via verso le nove con un panino e un pezzettino di parmigiano” (“La mia vita in bicicletta”, Ediciclo, 2011).
“Doping? Sono pulito. La maggior parte dei corridori è pulita. Qualcuno bara, come dovunque. Per me è una questione di onestà, rispetto, regola. I sacrifici pagano, nel ciclismo come nella vita. Il ciclismo mi rende una persona migliore”.