L’italiano ha sempre legato la sua vicenda a quella del Cannibale – sia da avversario che da compagno di squadra – a partire dai mondiali dilettanti a Sallanches nel 1964. Il tutto fino ad una tappa storia del Tour, quando giunsero al traguardo dopo 250 km di fuga
di MARCO PASTONESI
Luciano Armani fu il primo italiano a scoprire Eddy Merckx. A sue spese. E ne avrebbe fatto volentieri a meno. Mondiali dilettanti 1964, a Sallanches, in Francia. Due uomini al comando: loro due. Mancavano due chilometri al traguardo: Armani pensava di battere Merckx in volata, anzi, ne era quasi certo, ma alla volata neppure arrivarono, perché Merckx si sfilò Armani dalla ruota come se fosse un bambino e vinse, braccia al cielo. Sul palco, il giornalista francese Leon Zitrone intervistò Merckx pubblicamente, poi concluse scandendo nome e cognome, “Ed-dy-Merckx”, e ammonendo gli spettatori: “Ricordatevi bene questo nome!”.
“Me lo ricordavo bene quando, quattro anni dopo, Merckx fu ingaggiato nella mia squadra, la Faema, con la maglia di campione del mondo, stavolta dei professionisti. Il primo raduno, due settimane, a Cannitello, una frazione di Villa San Giovanni, in provincia di Reggio Calabria. La Faema era metà belga e metà italiana, metà corridori fiamminghi e metà corridori emiliani, noi ci allenavamo una volta al giorno, la mattina, loro due volte al giorno, la mattina e il pomeriggio. Quando il direttore sportivo, Vincenzo Giacotto, ci disse che avremmo dovuto fare come loro, Vittorio Adorni, il corridore più esperto e il capitano degli italiani, ci ordinò di seguire i belgi, di nascosto, il pomeriggio. I fiamminghi uscirono dall’albergo, fecero 5-6 chilometri in bici, poi si fermarono in un bar, si sedettero a un tavolo e ordinarono da bere. Adorni li minacciò: ‘Faccio la spia’. ‘No’, lo pregò Merckx. ‘Allora da adesso si fa come dico io’, ribatté Adorni. E così fu”.
La prima corsa del 1968 fu il Giro di Sardegna: “L’anno prima avevo vinto io e Merckx era arrivato secondo. ‘Stavolta mi lasci vincere?’, mi domandò Merckx, sorridendo. Infatti: primo Merckx, secondo io, e il grande regista era stato Adorni, terzo. Al Giro d’Italia eravamo tutti per Merckx. Io ebbi due giornate di libertà entrando in due fughe buone: la prima a Piacenza, nel finale si andava a scatti, persi l’attimo, sesto, e la seconda alle Tre Cime di Lavaredo, avevamo 10 minuti di vantaggio, mi ero risparmiato, poi Merckx venne a prenderci tutti, quinto. Giacotto mi sgridò: ‘Ricordati che nella mia squadra chi va in fuga ha l’ordine di vincere’. Come se fosse facile, come se non ci avessi pensato e provato”.
Armani che veniva da famiglia numerosa (“Dodici, tra genitori, zii e fratelli”), che aveva fatto le elementari (“Poi la quinta e la sesta, poi basta”), che si era innamorato della bicicletta da corsa (“Il regalo per la cresima”), che cominciò subito a lavorare (“Garzone a Felino in una salumeria di classe, in bici, due ceste, una davanti e l’altra dietro, per portare la spesa ai clienti ricchi”), che disputò la prima corsa a 18 anni (“Vincere era arrivare al traguardo”), che finalmente vinse (“La Torrechiara-Corniglio, cronocoppie”), che corse otto anni da professionista (“E rifarei tutto quello che ho fatto”). Armani che un giorno si sarebbe finalmente preso una solenne rivincita proprio su Merckx, da avversario: “Tour de France 1971, giorno di riposo, nello stesso albergo della squadra di Merckx. Noi ci eravamo sciolti i muscoli, loro si erano allenati a tutta per due ore e mezzo. Nell’androne Merckx imprecava, da solo, in fiammingo. Mi vide
e mi disse: ‘Domani, se vuoi arrivare fra i primi, alla partenza sta’ davanti’. C’era una discesa. Merckx e i suoi attaccarono, due spagnoli della Kas deragliarono, si scatenò la guerra, partì la fuga con Merckx, ci entrai anch’io, volammo i quasi 250 chilometri a quasi 45 e mezzo di media, piombammo al traguardo un’ora e mezza prima del previsto, a Marsiglia allo sprint primo io e secondo Merckx, e il sindaco giunse a premiazioni già finite”