Libri nel Giro 2016. Corridore postino
Dorsale 101
Di Marco Pastonesi
Noè era del 1933, Franco è del 1951, Valerio del 1993. Noè è stato professionista dal 1958 al 1962, Franco dal 1977 al 1984, Valerio lo è dal 2014. Noè era passista, Franco completo, Valerio ancora non si sa. Noè ne ha vinte due, una tappa del Giro dei Due Mari (un antenato della Tirreno-Adriatico) nel 1958 e la Coppa Bernocchi nel 1959, Franco nessuna da professionista ma il Giro d’Italia da dilettante, Valerio il Gran premio Beghelli nel 2014 e una tappa del Tour of Japan nel 2015. Noè ha fatto il gregario a Fausto Coppi, Franco a Moreno Argentin e Pierino Gavazzi, Valerio a Diego Ulissi. E se non ci fosse stato Valerio, dorsale 101, ieri Ulissi, dorsale 100, non sarebbe riuscito a vincere. Avamposto quando sono scattati De Marchi e Pirazzi, poi treno – da solo – quando è arrivato il suo capitano, spingere mulinare lanciare guadagnare, a testa bassa, a denti stretti, a cuore in gola, fino ai piedi della rampa al 18 per cento, un pugnale affilatissimo, il trampolino per la vittoria.
Facciamo due conti, anzi, facciamo tre Conti. Noè e Franco fratelli, Valerio figlio di Franco, anche se è stato Noè a regalare la prima bicicletta a Valerio, il resto ce l’aveva dentro, come un’impronta, un’eredità, un destino, anche una religione o una malattia. Ciclismo: quel fuoco che a Noè e Franco era divampato quando stavano ancora a Montefalco, in Umbria, quell’incendio che è scoppiato quando si sono trasferiti a Roma, al Colle Prenestino, e dove Valerio è nato e cresciuto, prima di frequentare l’accademia del ciclismo a Mastromarco.
Un giorno Valerio potrà raccontare di quei chilometri calabresi a tutta, a tuttissima, alla morte, a crono, in apnea, così come Noè gli raccontava di quando, nel Giro di Campania del 1958, prima tirava, poi spingeva Coppi sulle rampe dell’Agerola. E il bello è che Valerio potrà raccontare di quel commovente abbraccio con Ulissi, che lo aspettava e lo cercava e lo voleva per ringraziarlo, così come Noè gli raccontava di come Coppi a ogni spinta si voltava e gli dicesse grazie.
Perché alla fine, nel ciclismo, i conti – e anche i Conti – tornano sempre.